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Date a Erin quel che è di Erin

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Un dibattito su Facebook dimostra com’è difficile raccontare la storia del femminismo. E come non si riesca ancora a parlare di donne, uomini e violenza senza tirare corde a caso

Non so quanti si ricordano chi è Erin Pizzey. È una signora ormai settantenne che vive dalle parti di Londra. E ha fatto epoca negli anni Settanta perché ha prima fondato una meritoria casa di assistenza alle donne e ai bambini maltrattati diventando un’icona del movimento femminista inglese, ma, proprio in quell’esperienza, si era resa conto, lei dice, che la volenza in famiglia non è soltanto esercitata dagli uomini. Ovviamente questo si configurò come un bel calcio negli stinchi allo zampettante movimento femminista che, proprio in quegli anni, aveva forte e salda la barra sul dogma che la violenza è, in buona sostanza, un orrore maschile. E che sull’esperienza di Erin faceva un bel po’ di propaganda.

Lei tentò di scrollarsi di dosso quella che definì una «strumentalizzazione» spingendo a sua volta l’acceleratore e dicendo che la violenza è espressione di entrambi i generi e che il cervello femminile è prono all’abuso tanto quanto quello degli uomini. Non solo: suggerendo che il vigore del movimento femminista avrebbe finito col distruggere la famiglia. Chi vuole leggere la sua storia lo può fare direttamente leggendo la sua testimonianza sul Daily Mail.

Oggi accade che Wikipedia riporta in una voce la sua biografia. Ma che Wiki Italia la censura. E un gruppo di Facebook se ne accorge e denuncia che così non si fa, perché Wikipedia è libera, ecc, ecc, ecc.

Ne è uscito un dibattito molto interessante. Non solo sulla libertà di Wikipedia, sulla quale non mi sento titolata a intervenire. Ma sul significato dell’esperienza di Erin Pizzey: figlia di un diplomatico e di una donna terribile, che non l’amava e la colpiva duramente, racconta lei stessa.

È del tutto ovvio che un’esperienza di questo genere ha senz’altro influenzato la Pizzey nei suoi giudizi, ma è anche altrettanto ovvio che questi sono i suoi ricordi e le sue posizioni. Magari io, noi, possiamo non condividerle, ma se si parla di lei, visto che lei è viva e ha dato testimonianza diretta, è del tutto insensato non dare della sua vita e delle sue posizioni un resoconto che lei stessa approverebbe. In questo senso, francamente, mi pare che Wikipedia lo faccia.

Ma… Qui stiamo parlando di due cose: la costellazione del ricordo dei primi anni del femminismo (con le sue inevitabili distorsioni) e la questione drammatica della violenza sulle donne.

Quest’ultima è molto raccontata e dibattuta, e certamente molto complessa: a me pare che resti uno dei punti cruciali della lettura femminista del mondo. Ma anche a prescindere da questa, non riesco a non vedere palpabile ogni giorno e in maniera massiccia che la violenza è continua, sempre più folle, sempre più pesantemente agita dagli uomini contro le donne. Basta leggere la cronaca di questi giorni, ascolare le storie delle donne picchiate, violentate e comunque maltrattate per rendersi conto fino in fondo che è un male oscuro e profondo del nostro mondo.

Naturalmente ci sono donne violente. Ma certo mi chiedo come lo siano diventate. E in ogni caso non vedo questa come un’emergenza sociale come, invece, è la violenza degli uomini sulle donne e sui bambini.

Erin non la pensava così. Forse la sua storia, forse alcune esperienze alla casa di Chaswik, chissà. Ma lei non la pensava così e penso che se si parla di lei lo si debba riconoscere.

Ecco, infine, un punto che mi è assai caro: come si fa oggi a parlare di Erin Pizzey e della sue dichiarazioni contro le femministe accusate di distruggere la famiglia senza finire nell’ideologia più stolta, gretta e conservatrice (come mi pare facciano alcune discussioni in rete, ma tant’è)? Beh. l’unico modo per farlo è riconoscere che scrivere una storia del femminismo significa anche riconoscere le risse tra donne. E ricordarsi che non erano la maggioranza quelle che la pensavano come noi, anzi. Se vogliamo davvero dare ai giovani il modo di formarsi un’opinione adeguata su quei memorabili anni (quelli sì che hanno cambiato il mondo!) dobbiamo rinunciare a qualche totem come quello della “sorellanza”, del movimento di ragazze con le corone di fiori, dell’embrasson nous che non c’è e non c’è mai stato.

Date a Erin quel che è di Erin. Le donne oggi non hanno più bisogno di dogmi. È più utile ricostruire davvero quegli anni con i documenti in mano e le testimonianze dirette. Ognuna ricorderà alla luce della sua anima, privilegerà certe esperienze e ne dimenticherà altre. Come ha fatto Erin. È inevitabile perché si parla di uno tsunami planetario che ha sconvolto la vita di milioni di persone. Ci penseranno gli storici a mettere a posto le testimonianze, a mettere in fila i fatti, a tratteggiare le protagoniste. Per favore, lasciamoglielo fare.


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